Hikikomori - la paura di vivere “fuori”

 

Hikikomori significa “ritiro” in giapponese. Tecnicamente con la parola hikikomori si indica sia il comportamento sia chi lo mette in atto. Il comportamento consiste nell’isolarsi dalla società e dalla famiglia rinchiudendosi nella propria stanza per un periodo superiore a sei mesi.

 Chi lo mette in atto è di solito un adolescente o un giovane adulto.  Il termine fu coniato dal dott. Tamaki Saito, direttore del Sofukai Sasaki Hospital, quando cominciò a rendersi conto della similarità sintomatologica di un numero sempre crescente di adolescenti che mostravano letargia, incomunicabilità e isolamento totale. 
Oltre all’isolamento sociale gli hikikomori soffrono tipicamente di depressione e di comportamenti ossessivo compulsivi, ma non è facile comprendere se questi siano una conseguenza della reclusione forzata a cui si sottopongono o una concausa del loro chiudersi in gabbia. Alcuni hikikomori si fanno la doccia per diverse ore al giorno e indossano guanti spessi per tenere a bada i germi, mentre altri strofinano le mattonelle nella doccia per ore e ore.
Nonostante lo stereotipo sia quello di un uomo che non lascia mai la sua stanza, molti reclusi si avventurano fuori, una volta al giorno o una volta alla settimana, per andare in un Konbini, un supermarket aperto 24 ore. Lì possono trovare colazioni a portar via, pranzi e cene, e poiché di solito si svegliano a mezzogiorno e vanno a dormire al mattino presto, il konbini è una scelta sicura e anonima a tarda notte. La cassiera non parla e tutti gli altri stanno a casa a dormire.
Il ritiro dalla società avviene gradualmente, i ragazzi possono apparire infelici, perdere i loro amici, diventare insicuri, timidi e parlare di meno.
Le giornate di un hikikomori sono caratterizzate da lunghe dormite mentre le ore notturne sono spesso dedicate a guardare la tv, a giocare al computer, a navigare su internet , leggere e giocare in borsa on line.
La mancanza di contatto sociale e la prolungata solitudine hanno effetti profondi sull’hikikomori, che gradualmente perde le sue competenze sociali, i riferimenti comportamentali e le abilità comunicative per interagire con il mondo esterno.

DIFFUSIONE DEL FENOMENO
La diffusione del fenomeno in Giappone ha avuto luogo negli ultimi 15 anni e alcuni affermano che circa un milione di giapponesi ne siano coinvolti, praticamente l’1% della popolazione. Stime più caute, e più realistiche, parlano di un range compreso fra 100.000 e 320.000 individui.
Probabilmente ragazzi e ragazze hikikomori vivono anche in Italia, alcuni fra questi hikikomori nostrani li chiamiamo e li abbiamo sempre chiamati nerds o geek, e sicuramente ci sono hikikomori in tutte le società occidentali, ma ancora l’ attenzione mediatica non è riuscita a farne un fenomeno sociale noto.
Si ritiene che l’80% degli hikikomori siano maschi, ma anche in questo caso è probabile che l’incidenza fra le ragazze sia sottostimata.
I ruoli di genere sono molto ben definiti e distinti in Giappone, più di quanto accada nelle società occidentali. Una ragazza ritirata e/o drammaticamente timida può allarmare in misura minore la famiglia e ridurre le richieste di aiuto.  Un altro elemento che potrebbe contribuire a confondere le acque risiede nella presenza, in Giappone, della categorizzazione socioculturale delle parasite single (ragazze che continuano a vivere con i propri genitori ben oltre la maggiore età) e che, in una certa percentuale di casi, mostrano stili  comportamentali molto simili, e talvolta sovrapponibili, a quelli di un hikikomori. E’ possibile che le numerose parasite single giapponesi siano delle hikikomori non riconosciute come tali. Anche il fenomeno delle parasite single non è  naturalmente soltanto giapponese.

LE POSSIBILI CAUSE
Sulle cause del fenomeno si fanno solo ipotesi. Come l’anoressia, la cui diffusione è pressocchè limitata alle culture occidentali, anche l’hikikomori sembra essere una sindrome culturale .
I giapponesi hanno dato la colpa a qualunque cosa: alle madri oppressive e a quelle assenti, ai padri troppo impegnati, al bullismo scolastico, all’economia in recessione, alle pressioni accademiche e ai video game. Ma il tutto va probabilmente collocato sullo sfondo di una società sociologicamente in crisi e che, soprattutto, si nutre di una cultura dalle caratteristiche uniche al mondo e non sempre “sane”.

La competitività sociale
James Roberson, antropologo culturale al Tokyo Jogakkan College ed editore del libro “Uomini e mascolinità nel Giappone contemporaneo” punta il dito su un particolare atteggiamento giapponese nei confronti del successo personale. Secondo lo studioso i ragazzi cominciano a percepire una forte pressione all’autorealizzazione già nella scuola media dove è essenziale che siano eccellenti negli studi e nella professione. Se un ragazzo non segue un preciso percorso verso un’università d’elite o un’ azienda di prestigio molti genitori, e di conseguenza i loro figli, vivono questo come un grave fallimento. L’hikikomori potrebbe essere una resistenza a questa pressione.

La famiglia giapponese
Il dott. Saito, che ha trattato più di 1000 hikikomori, attribuisce il disagio al contesto familiare e sociale, all’interdipendenza fra genitori e figli, a una possibile collusione soprattutto fra madre e figlio (”amae” in giapponese).
In altre parole la madre, convinta intimamente che sia meglio avere un figlio in casa, benchè in isolamento, piuttosto che in giro a farsi del male, apprezzerebbe la strana pace che avere un figlio hikikomori può determinare, almeno all’inizio.
La maggiorparte dei genitori aspetta molto a lungo prima di chiedere aiuto, nella speranza che il figlio superi questa fase da solo.
La relativa capacità economica della classe media consente inoltre ai genitori di mantenere in casa un figlio adulto indefinitivamente .
Nelle famiglie a basso reddito non ci sono hikikomori perchè i giovani sono costretti a lavorare fuori di casa se non finiscono la scuola e per questa ragione l’isolamento, se mai ha inizio, termina  precocemente.

Il bullismo
Molti fra gli stessi pazienti raccontano di anni scolastici da incubo, di episodi di bullismo, in cui venivano maltrattati per essere troppo grassi o troppo magri o persino per essere migliori di qualcun altro nello sport o nella musica. Come usano dire i giapponesi: “Il chiodo che sporge va preso a martellate”.

La ribellione muta
Secondo i teorici della ribellione muta, le cause del fenomeno risiedono nella particolare modalità dei giovani giapponesi di fare “opposizione giovanile”.  In altre società un ragazzo può entrare in una gang, diventare “gotico” o iniziare a far parte di qualche altra subcultura. In Giappone, dove l’uniformità è ancora la norma e la reputazione e le apparenze esteriori sono importantissime, la ribellione si trasforma in forme mute come l’hikikomori. Storicamente il confucianesimo de-enfatizza l’individuo e favorisce il conformismo sociale per assicurare la stabilità in una società rigidamente gerarchizzata. Quello che in altre culture si esplica con l’abuso di sostanze o altri fenomeni “rumorosi”, in Giappone si tramuterebbe in apatia e in altre “proteste silenziose”.

L’ipertecnologismo
Secondo alcuni, tra cui lo scrittore Ruy Murakami, l’ipertecnologizzazione del paese ha un ruolo nella diffusione del fenomeno. I giovani giapponesi sarebbero eccessivamente immersi in mondi di fantasia fatti di manga, televisione, videogame e internet da perdere, in breve tempo, i contatti con la realtà.


La violenza non appartiene all’hikikomori.
L’hikikomori è balzato agli onori della cronaca giapponese soprattutto perchè i media hanno paventato un’associazione tra questa condizione e il comportamento criminale.  Effettivamente ci sono stati casi di omicidio e sequestri di persona compiuti da hikikomori, ma la stragrande maggioranza di essi è costituita da ragazzi troppo isolati e  troppo timidi per avventurarsi fuori dalla propria stanza e andare da soli fuori ad aggredire qualcuno.
Alcuni hikikomori aggrediscono i loro genitori, soprattutto quando esercitano pressioni ad uscire dalla stanza. Ma la  maggior parte delle volte la rabbia si manifesta in altre maniere, moleste ma non violente, come far ruzzolare una pallina sul muro quando il resto della famiglia dorme.

IL TRATTAMENTO

Negli ultimi anni sono fiorite in Giappone diverse realtà di supporto agli hikikomori, ciascuna con il proprio stile e la propria filosofia di trattamento. E’ possibile comunque individuare due approcci fondamentali.
 L’approccio medico-psichiatrico che consiste nel trattare la condizione come un disordine mentale o comportamentale con il ricovero ospedaliero, sessioni di psicoterapia e assunzione di psicofarmaci.
 Un altro approccio, che potremmo chiamare di risocializzazione, guarda al fenomeno  come a un problema  di socializzazione piuttosto che come a una malattia mentale. L’hikikomori viene quindi allontanato dall’ambiente  della casa d’origine e ospitato in una comunità alloggio in cui sono presenti altri hikikomori.
Lì viene incoraggiato a reintegrarsi attraverso diverse attività quotidiane condivise. Questo approccio consente all’hikikomori di rendersi conto di non essere solo, oltre a fornirgli esempi viventi di miglioramento e “guarigione”.

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