Ikigai - Il senso della vita



Cos’è l’ikigai

Non esiste una traduzione diretta in italiano, ma è un termine che incarna l’idea di gioia di vivere. In sostanza, l’ikigai corrisponde al motivo per cui ci si alza al mattino.

Questo concetto è spesso associato a un diagramma con quattro qualità che si sovrappongono: ciò che si ama, ciò che si è bravi a fare, ciò di cui il mondo ha bisogno e ciò per cui si può essere pagati.

Per i giapponesi, tuttavia, l’idea è sottilmente diversa: il proprio ikigai può non avere nulla a che fare con il lavoro, né tanto meno col reddito.

In tempi recenti, un sondaggio condotto dal Central Research Services tra 2mila uomini e donne giapponesi ha raccolto un misero 31% tra gli intervistati che consideravano il lavoro come proprio ikigai. Il che non stupisce più di tanto, poiché da sempre in Giappone si concepisce l’occupazione come servizio per la società, non come prospettiva meramente individuale. Tutti i lavori, in questo senso, hanno pari valore.


L’origine dell’ikigai

In un documento di ricerca del 2001, Akihiro Hasegawa, psicologo clinico e professore associato all’Università di Toyo Eiwa, provvide di fatto ad inserire la parola ikigai nella lingua giapponese quotidiana. Si compone di due parole: iki, che significa vita e gai, che ne descrive appunto il valore.

Secondo Hasegawa, l’origine dell’espressione risale al periodo Heian (794-1185) laddove gai deriva dalla parola kai (“conchiglia”, che all’epoca era considerata un bene prezioso). Ci sono altre parole che inglobano kai allo stesso modo: yarigai e hatarakigai che significano il valore nel fare e il valore nel lavorare. Ikigai può essere così ragionato come un concetto completo che incorpora tutti questi aspetti della vita.

Tra la sterminata letteratura giapponese dedicata al tema, un libro in particolare è considerato quello più esaustivo: Ikigai-ni-tsuite (Sull’ikigai), pubblicato per la prima volta nel 1966. L’autore del libro, lo psichiatra Mieko Kamiya, spiega che, come parola in sé ikigai sarebbe sì simile a “felicità“, ma con una sottile differenza. Che però cambia tutto. Ikigai è ciò che permette di guardare al futuro anche se si è infelici in un determinato momento.

La ragione di questa distinzione è anch’essa idiomatica: in italiano infatti il termine vita corrisponde all’esistenza in sé ma pure a vita quotidiana. In giapponese, invece, i due concetti sono separati: jinsei significa vita e seikatsu significa quotidianità. Il concetto di ikigai si allinea così di più a seikatsu, considerato il prodotto della somma di piccole gioie della vita quotidiana che la rendono più appagante nel suo complesso.



L’ikigai cambia

L'ikigai è quindi questo, una summa che nasce dall’incrocio di tre liste del tutto individuali: i valori di riferimento, gli interessi primari e le proprie capacità pratiche.
Il prodotto è ovviamente mutevole col passare degli anni e quindi la chiave del processo di ricerca dell’ikigai è in un certo senso la ricerca stessa. Ognuno lo possiede come centro nevralgico della propria vita ma non tutti riescono a scoprirlo senza accettare di dover intraprendere un rigido percorso di autodisciplina e di scoperta di se stessi. Qualcosa che in Oriente è compreso già in teologie come il buddhismo o nella pratica del Budo. E che caratterizza le fasi delicate della vita come l’adolescenza ed in modo del tutto speculare, l’anzianità.
Momenti chiave in cui risulta più facile lasciarsi corrompere da prospettive meramente materiali che per l’immediato potrebbero sembrare allettanti ma che andranno gioco-forza a caratterizzare un lasso di tempo piuttosto lungo. 

L’ikigai, infatti, è il risultato di un equilibrio tra il desiderio e la naturalezza. Chi cerca la felicità ha un maggiore rischio di esserne ossessionato e, per questo, restare paradossalmente infelice in modo cronico. Gli spazi vuoti del diagramma immediatamente precedenti all’ikigai stanno a ritrarre proprio questi rischi sottesi: insoddisfazione, tristezza, frustrazione e senso di inutilità.
Il proprio posto nel mondo, tuttavia, è lì a un passo. Basta riuscire a cambiare punto di vista.

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